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18 Dicembre 2022
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Abitare l’attesa nel quotidiano

A una settimana dal Natale, ascoltiamo le riflessioni di Gigi, 52 anni, marito e padre di tre ragazzi, fisioterapista in una RSA. Attraverso 3 momenti di vita quotidiana, ci racconta cosa è per lui l’attesa è un tempo formativo, di ricerca interiore di conoscenza, di consapevolezza, di verifica personale. Un tempo utile e necessario anche se faticoso, ma proprio per questo bello.

Le attese nel quotidiano mi piace definirle “le piccole attese”. Se le grandi attese godono di tempi dilatati che consentono una approfondita riflessione, una pianificazione di strategie, un discernimento delle parole degli atteggiamenti e delle emozioni da mettere in campo prima che l’evento si compia. Nelle piccole attese invece tutto si gioca in tempi brevi, quante volte capita di non essere pronti a rispondere a una richiesta e di trovare la soluzione solo dopo a cose fatte, oppure di iniziare male la giornata solo perché è stata detta una parola sbagliata.

Le piccole attese non sono banali perché concorrono a realizzare le grandi attese. Ad esempio se attendo un mondo di pace ma nel quotidiano non la pratico, la mia attesa sarà vana.

Abitare: questo verbo è molto interessante perché indica lo stare dentro la vita, la storia. È un verbo attivo che implica un’azione richiede un movimento sia interiore che esteriore. L’attesa fa emergere i sentimenti, gli stati d’animo, le emozioni che sono in te, ti fa elaborare strategie, modi di relazioni costruttive e richiede anche un linguaggio non verbale accompagnato dal silenzio.

Vorrei parlarvi di tre episodi capitati recentemente nella mia quotidianità.

La primavera scorsa ho ricevuto una chiamata da un datore di lavoro che si è preso a cura la salute del figlio di un suo dipendente di origini asiatiche che ha una patologia molto grave. Mi disse che aveva ricevuto il mio nominativo da un collega e in questo periodo di pandemia il programma riabilitativo del ragazzino si era interrotto e mai più riattivato.

Subito ho percepito che quest’uomo aveva già bussato a tante porte e ricevuto tanti no. Decisi di ascoltarlo e se possibile di poterlo aiutare orientandolo verso le strutture di riferimento. Ascoltando la storia e leggendo la documentazione emerse che dei problemi burocratici e diversi problemi di comprensione e interpretazione impedivano l’attuazione del programma riabilitativo. Così mi sono fatto forza e entrando nella loro casa ho iniziato un trattamento riabilitativo per tamponare la situazione. Mi sono messo in contatto con la pediatra cercando di mediare da un lato con la famiglia per spiegare come funziona la burocrazia e come costruire relazioni formali efficaci e dall’altra parte mediando con le istituzioni ricordando che il valore da salvaguardare era la salute del bambino che in fondo non ha nessuna colpa. Finalmente attraverso il confronto pacato e costruttivo con i responsabili sanitari la situazione si è sbloccata e proprio in questi giorni il ragazzino inizierà un nuovo percorso riabilitativo.

Nell’estate 2021 di ritorno da una camminata con alcune famiglie del quartiere abbiamo assistito a un episodio di maltrattamento di un uomo verso una donna. L’episodio non ci ha lasciato indifferenti soprattutto per la presenza dei nostri figli che sono in maggioranza maschi. Ci siamo confrontati e insieme si è deciso di realizzare una panchina rossa per richiamare la campagna mondiale contro la violenza sulle donne. Un simbolo che ricordasse prima a noi residenti (grandi e piccoli) e anche a chi è di passaggio il rispetto per le persone. Ci siamo attivati per la realizzazione: chi per trovare i materiali, chi per le vernici, chi per la realizzazione di una scritta e chi per gli attrezzi. Per finire abbiamo chiesto al Comune l’autorizzazione a posare la panchina in una aiuola, ma per la mancanza di una certificazione non è stato possibile posizionarla in modo permanente. In occasione del 25 novembre di quest’anno abbiamo deciso di posizionarla per alcuni giorni poi, nel rispetto delle regole, la toglieremo.

Spesso capita di gestire l’attesa nella mia attività lavorativa ma anche in famiglia.

Avendo i genitori anziani e lavorando anche con persone anziane (soggetti ai quali viene meno la percezione del tempo che passa e nei quali aumenta la necessità di avere qualcuno accanto) mi trovo spesso a temporeggiare riguardo le richieste che mi vengono fatte cercando di ribadire le priorità, le cose importanti e irrinunciabili. Situazioni che mi mettono a dura prova perché “tutto subito” non sempre è possibile. Rassicurare, riorientare le richieste e essere empatici richiede di rallentare, di fermarsi a fare compagnia e di aspettare. Tempi che sono necessari ma che non sempre sono conciliabili con la quotidianità.

Per me l’attesa è un tempo formativo, di ricerca interiore di conoscenza, di consapevolezza, di verifica personale. Un tempo utile e necessario anche se faticoso, ma proprio per questo bello.

Buon avvento, buona attesa.

Gigi Bonetti, 52 anni, marito e padre di tre ragazzi, fisioterapista in una RSA.